“SFIORANDO IL MURO”, GLI ANNI DI PIOMBO ANCORA PESANO SU PADOVA

foto (35).JPGEmozionante (e un po’ tesa) l’anteprima, ieri sera a Padova, del film di Silvia Giralucci “Sfiorando il muro”, che racconta la violenza in città negli anni ’70, a partire dalla sua tragica esperienza personale, l’uccisione del padre Graziano militante missino (assieme all’amico Giuseppe Mazzola) ad opera delle Br, nel 1974, quando lei aveva appena tre anni. Più che scrivere una recensione del film, di cui hanno già parlato in tanti alla sua presentazione, alla Mostra del cinema di Venezia, vorrei qui raccontare le impressioni che mi ha trasmesso la pellicola, e soprattutto cosa mi sembra sia emerso da questo primo confronto comune della città con la sua dolorosa storia recente. 7aprile.jpgSI, perché finora su questi temi a Padova non si è mai discusso veramente, a 360 gradi, e la memoria – fra le varie parti in conflitto – non solo è ancora divisa (com’è normale che sia) ma non trova neppure un terreno minimo di confronto.

 

IN SALA MOLTI DEI PROTATONISTI DELL’EPOCA, MA IL DIALOGO RESTA CONGELATO

Ieri sera invece la sala era strapiena, con molti giovani e presenze finalmente politicamente variegate, dagli ex comunisti, agli ex autonomi, agli ex fascisti (non tutti necessariamente “ex”); entrando colpisce con forza il silenzio surreale della folla in attesa della proiezione: sarà la tensione del momento, o più semplicemente il fatto che non si sa a quale “tribù” appartenga il vicino di poltrona? 

Poi parte il film, e rapidamente si viene catturati dalle immagini e dalle voci del tempo, dai filmini e dalle foto della famiglia Giralucci, Giraluccipiccola.jpgcol commento in prima persona (molto umano e problematico) della regista, dalle interviste ai protagonisti (Guido Petter e Antonio Romito), e anche dalla bella colonna sonora di Stefano Lentini, con la sua solenne rivisitazione di Stabat Mater e Alma Redemptoris Mater, particolarmente commovente quando lei rievoca la figura del padre.

PERCHÈ NEGRI & C. NON ACCETTANO IL CONFRONTO

Negri.jpegPoi arrivano le immagini di Toni Negri, che durante la recente presentazione di un libro sul Sette Aprile a Padova minimizza il conflitto a “quattro, cinque professori che hanno preso qualche schiaffo”, e allora capisci perché lui (con i suoi antichi compagni) si sia sempre rifiutato di parlare con Silvia, persino una volta che casualmente si sono trovati seduti vicino nello stesso treno: lei, con la sua storia personale, è la dimostrazione vivente delle sue mistificazioni (i “due schiaffi”, appunto, quando in un anno si contarono 109 attentati), e la denuncia della vacuità dei suoi seguaci che ancora oggi si ostinano ad esaltare una stagione di lotte che ricordano generosa ed eroica, ma che invece fu prima velleitaria, e poi crudele.

L’unico che ha smesso da tempo di raccontarsela è Raul Franceschi, che paga con una dura vita da esule a Parigi colpe che furono molto più leggere di quelle di molti compagni di allora, ora riciclati in docenti, pubblici impiegati, liberi professionisti, imprenditori, senza aver mai voluto o dovuto fare i conti con il proprio passato e le proprie responsabilità. Franceschi – ormai estraneo al clan degli ex – ha accettato di farsi intervistare dalla Giralucci, hanno preso il caffè insieme nel suo povero alloggio parigino, forse hanno persino fraternizzato. Lei sicuramente ha compreso qualcosa di più di quella stagione che la ha portato via il padre, assorbito pure lui – prima di essere ucciso in via Zabarella – dalla durezza dello scontro, dal fascino della violenza, dal vittimismo che legittimava l’escalation del conflitto col nemico.

IL CORAGGIO DELL’AUTOCRITICA: “PARTECIPAVAMO A UN GIOCO ORRENDO”

Ma a pronunciare la parola definitiva è un’altra protagonista che (come Romito) un giorno ha avuto il coraggio di dire “basta”: un’amica del padre, Stefania Paternò, militante di destra e segretaria del Fuam, protagonista di scontri epici coi militanti di sinistra: per lei il punto di svolta è stata l’uccisione dell’amico, la consapevolezza che la spirale della violenza, una volta avviata, non si ferma più: “Pensavamo di essere come i ragazzi della via Pal – dice – e invece partecipavamo a un gioco sempre più orrendo”. Un monito da tenere a mente anche oggi, quando le difficoltà del presente, le ingiustizie mai rimosse, possono richiamare soprattutto i giovani al fascino perverso dello scontro fisico.

UN FILM BELLISSIMO, UN APPLAUSO INCERTO

La chiave è riuscire a guardare la quotidianità, il conflitto, la storia, anche con gli occhi dell’altro: che è esattamente quello che cerca di fare, per tutto il film, Silvia Giralucci, attirandosi però, in questo contesto, più freddezze che solidarietà, nonostante la pellicola (nella sua precisa misura, artistica e umana) sia più pregnante di tantissime analisi storiche e sociali. A differenza dalla proiezione al Lido, infatti, qui l’applauso che scatta alla fine è timido, incerto, quasi imbarazzato  

e anche il successivo dibattito stenta a decollare. I miei vicini di poltrona, di destra, ad esempio, non applaudono, e gli autonomi non parlano. Mettersi in discussione davanti ai propri compagni di lotta, anche a distanza di decenni, non è facile. Più naturale magari farlo privatamente, come hanno fatto alcuni ex autonomi con la regista, ma senza autorizzarla a riprenderli o a citarli.

UNA MEMORIA CHE SI PERDE SENZA ESSERE STATA METABOLIZZATA; IL SILENZIO DEGLI INTELLETTUALI

La sensazione, alla fine, è che Padova stia perdendo la memoria di quegli anni senza averla metabolizzata, anche perché sono mancate – dopo alcuni gesti politici importanti da parte dei sindaci (la pacificazione di Gottardo, l’inaugurazione della targa per Mazzola e Giralucci da parte di Zanonato) – prese di posizioni adeguate da parte di chi doveva avere gli strumenti culturali per metterle a punto e l’autorevolezza e il coraggio per farlo. Si tratta di una mancanza che Padova continua a pagare.


“SFIORANDO IL MURO”, GLI ANNI DI PIOMBO ANCORA PESANO SU PADOVAultima modifica: 2012-11-27T11:18:00+01:00da sergiofrigo
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