UN LIBRO DI SILVIA GIRALUCCI: “CERCANDO MIO PADRE VITTIMA DELLE BR, NELLA MEMORIA DIVISA DEGLI ANNI ’70”

Giraluccisilvia.jpgEsce oggi in libreria un libro molto atteso, scritto da Silvia Giralucci, figlia della prima vittima delle Br, e incentrato su un periodo della nostra storia recente – gli anni ’70, la violenza politica, il terrorismo – su cui non è stato possibile avviare una riflessione condivisa: al di là della toccante testimonianza personale e della grande voglia di capire che lo anima, il libro è dunque un’occasione per mettere a confronto visioni drasticamente divergenti su quei fatti, proposte da alcuni dei protagonisti, a volte militanti su opposte sponde. Un contributo estremamente importante in un momento in cui l’opzione della violenza sta riprendendo fiato nella contesa politica italiana.

Ecco cosa ne ho scritto sul Gazzettino, e poi un brano del libro.

 

 

“HO CERCATO DI COLMARE IL GRANDE VUOTO SCAVATO IN ME DALL’UCCISIONE DI MIO PADRE”

Silvia Giralucci aveva tre anni, il 17 giugno del 1974, quando nella sede del Msi di Padova un commando brigatista uccise (ed era la prima volta) il padre Graziano e l’amico Giuseppe Mazzola, militanti missini (nella foto) Giralucci.jpeg. Ora fa la giornalista, è sposata e ha due figli di 9 e 5 anni, ma racconta che quell’evento le scavò dentro un grande vuoto «affettivo, materiale e sociale, che durò per anni. Quello che mi era rimasto di papà parlava solo della sua morte».

Per cercare di colmare quel vuoto, per provare a elaborare il lutto, per trovare un perché a quella ferita privata (e insieme medicare la conseguente paralisi che l’ha tenuta per anni lontana dalla politica, dall’impegno civile e da qualsiasi forma di appartenenza), Silvia Giralucci ha scritto un libro impegnativo e appassionato, che va oltre la testimonianza personale per ricercare dentro alcune storie dei protagonisti di allora le ragioni di uno scontro politico che insanguinò l’Italia, procurando ad un paio di generazioni ferite che ancora non si sono rimarginate. Il titolo è una citazione di Sartre – “L’inferno sono gli altri” (Ed. Mondadori, € 17.50 ) – ma è forse più significativo il sottotitolo: “Cercando mio padre vittima delle Br nella memoria divisa degli anni Settanta”.

Il libro parte con una ricostruzione del clima politico e sociale nella Padova degli anni ’70, laboratorio di tutti gli estremismi, poi affronta i suoi protagonisti, che sono una militante dell’autonomia a suo tempo finita in prigione, il professor Guido Petter, vittima di un attentato, che con lei ebbe un duro confronto durante una lezione, il giornalista Pino Nicotri (accusato ingiustamente di essere stato il telefonista delle Br durante il sequestro Moro), il pubblico ministero che per primo indagà sulla strage di Piazza Fontana e soprattutto del 7 aprile, Piero Calogero, e il testimone d’accusa Antonio Romito, allora militante del Pci.

IL SILENZIO ASSORDANTE DEGLI AUTONOMI, UN RIFIUTO DI ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA’

Ma altrettanto importanti sono i protagonisti (quasi tutti anonimi) dell’ultimo capitolo, intitolato significativamente “I silenzi”: sono gli autonomi che hanno rifiutato il confronto con Silvia Giralucci, oppure si sono tirati indietro dopo qualche incontro, di cui l’autrice dà conto. Nonostante questo il libro è forse il primo “luogo” in cui – dopo 35 anni – si confrontano le ragioni degli uni e degli altri, autonomi e fascisti, picchiatori e vittime, inquirenti e imputati.

«Ma questo loro ritrarsi è stato l’aspetto più amaro del mio “viaggio” – ammette lei – Anche se le motivazioni sono state diverse – non tirare in ballo altre persone, la difficoltà di spiegarsi con i figli – mi ha colpito il loro rifiuto di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, la tendenza ad autoassolversi. Ma se parli con gli esponenti della destra estrema è la stessa cosa: si giustifica la propria violenza con la necessità “politica” di rispondere alla violenza degli altri».

LA CONFESSIONE DELL’AGGRESSORE DEL PADRE: “ALLA VIOLENZA SI RISPONDE CON LA VIOLENZA”

E’ quello che spiega all’autrice uno degli autonomi, che confessa di aver aggredito il padre Graziano, pochi mesi prima della sua uccisione ad opera delle Br. «Da laica non mi pongo la questione del perdono, se non all’interno di una relazione con queste persone, che non c’è. Ma a mio avviso è necessario spezzare la catena dell’odio. In nome di che cosa? Per quanto mi riguarda, ad esempio, nel momento in cui ho capito che potevo accettare che un debito non mi fosse risarcito, sono stata molto meglio».

Per arrivare a questo punto Silvia Giralucci ha dovuto anche prendere politicamente le distante dalla figura del padre. «Qualcuno, in carcere, mi ha detto che il mio rifiuto della violenza è etico, e non politico. Può essere. Ma per me, la morte di papà è stata un doppio dolore: la sua mancanza e il fatto che lui abbia preferito la politica a me. Ma in fondo anche lui era figlio di quegli anni terribili».

 

 

di SILVIA GIRALUCCI  (da “L’inferno sono gli altri” Ed. Mondadori)

 

Curcio.jpg

 

 

 

 

 

 

Ho impiegato anni e tanta fatica a capire che quel papà

sparito nel nulla, senza lasciarmi neppure un ricordo, quan-

do avevo tre anni, era stato ucciso. ucciso dalle Brigate ros-

se perché era di destra. «fascista», come si diceva allora.

La mattina del 17 giugno 1974 era andato a salutare l’amico

Giuseppe Mazzola, custode della sede del Msi a Padova, quan-

do cinque brigatisti vi fecero irruzione. Papà reagì, tentò d’im-

possessarsi della pistola di uno di loro e fu ucciso assieme a

Mazzola. freddati senza pietà quando erano già a terra, cen-

trati da un primo colpo, senza possibilità di reagire. Le Br ri-

vendicarono il duplice omicidio, spiegando che si era trat-

tato di un «incidente» durante una perqui sizione proletaria.

Al processo, conclusosi quando ero all’università, anche

i giudici ritennero che entrare di mattina a volto scoperto

con le pistole silenziate in una sede del Msi, custodita, fre-

quentata, in pieno centro cittadino, non fosse una moda-

lità di perquisizione proletaria, bensì una scelta strategica

per alzare il livello dello scontro: «L’omicidio di Mazzola e

Giralucci» è scritto nelle motivazioni della sentenza della

corte d’assise «non è stato determinato né dalla necessità

per gli esecutori di assicurarsi l’impunità degli altri delitti

fino a quel momento compiuti, né più genericamente dal-

la necessità di assicurarsi una via di fuga: si è trattato di

un atto immotivato e privo di scopo e – per converso – ci-

nico e crudele, cui non pare neppure applicabile l’etichetta

di una ideologia, per quanto distorta e faziosa».

Quello che per le Br fu il «salto del fosso», dalle azioni

dimostrative agli omicidi, per me fu l’inizio di un vuoto

affettivo, materiale e sociale. un vuoto che per anni mi ha

paralizzata, tenendomi lontana dalla politica, dall’impegno

civile e da qualsiasi cosa avesse a che fare con un’«apparte-

nenza». non molto tempo fa, qualcosa è cambiato.

oltre trent’anni dopo la morte di papà e Mazzola, il co-

mune di Padova ha capito che le prime due vittime delle

 

Brigate rosse, benché di destra, meritavano una commemo-

razione istituzionale. Quella cerimonia, voluta da un sinda-

co di sinistra, flavio Zanonato, è stata l’inizio della mia ri-

conciliazione con la città in cui sono nata. La targa ricordo,

che da un decennio era appesa a un palo perché i condo-

mini del palazzo dove papà e Mazzola erano stati uccisi ri-

fiutavano di mettere a disposizione il muro, è stata affis-

sa, avvitata alla parete grazie a un’ordinanza del sindaco

che l’ha definita un’opera di pubblica utilità. Ed è stato così

che le commemorazioni con le croci celtiche, circondate da

polizia in assetto antisommossa, sono diventate negli ulti-

mi anni cerimonie più sobrie, dove finalmente partecipa-

no non solo militanti di destra, ma cittadini che vogliono

ricordare un pezzo di storia di questa città, e dove posso

portare anche i miei figli.

Dopo trentacinque anni mi è venuta la voglia di capire

e di superare. Se non ho potuto iniziare l’elaborazione del

lutto con un funerale che non ero in grado di capire, ora la

memoria diventa la risposta a un bisogno profondo di cer-

care, nella storia, le ragioni della mia ferita. Più che sape-

re che cosa è successo quella mattina nella sede missina di

via Zabarella, sento la necessità di comprendere lo spirito

del periodo in cui per la politica valeva la pena morire o

rischiare di rovinarsi la vita. E, in questo senso, Padova si

presenta come un microcosmo perfetto.

calogero.jpeg

 

 

UN LIBRO DI SILVIA GIRALUCCI: “CERCANDO MIO PADRE VITTIMA DELLE BR, NELLA MEMORIA DIVISA DEGLI ANNI ’70”ultima modifica: 2011-05-03T00:32:51+02:00da sergiofrigo
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